IN ORATORIO CON TESTA

26 Gen 2024 - 18enni, Adolescenti, Giovani, Oratori, StiamoINsieme

IN ORATORIO CON TESTA

Uno sguardo bello e appassionato che non sottovaluta la gravità di ciò che sta succedendo ma ci riconsegna la necessità di pensare, di trovare le giuste parole, spazi, tempi e persone adatte per iniziare a muoverci.
Uno sguardo che “rilancia in alto” e ci chiede, ancora una volta, di agire, con la chiara consapevolezza che “l’azione sorge da una prontezza alla responsabilità.”
Dietrich Bonhoeffer

Solennità di San Siro protovescovo e patrono della Città e della Diocesi
Duomo di Pavia – sabato 9 dicembre 2023

La sfida educativa delle nuove generazioni: presente e futuro della nostra società
Omelia di S. E. Mons. Corrado Sanguineti Vescovo di Pavia

Questa solennità che ci raccoglie intorno al nostro patrono, ci trova in giorni nei quali avvertiamo di più un contrasto tra il clima delle feste natalizie che si avvicinano e le nubi oscure delle guerre che insanguinano il mondo, in particolare nella Terra Santa e da quasi due anni nella martoriata Ucraina, delle situazioni di povertà che interessano persone e famiglie anche nel nostro territorio (lavoro precario, mancanza di alloggi o affitti insostenibili, faticoso inserimento di stranieri o ex-detenuti nella vita sociale) e delle violenze che hanno come vittime donne maltrattate o uccise dai loro mariti o compagni o ex-fidanzati, come la giovane Giulia Cechettin.

In questi giorni abbiamo ascoltato le voci di esperti, giornalisti, psicologi che, di fronte al terribile omicidio della giovane Giulia, hanno fatto appello a varie cause e a possibili spiegazioni dei gravi e frequenti atti di violenza sulle donne: si è parlato di un presunto dominio del modello “patriarcale” e del narcisismo che rende immaturi e fragili, si è evocata l’avvio di corsi per l’affettività e la sessualità nelle scuole, come se bastasse l’ennesimo “corso” a educare i ragazzi e i giovani.

Il fenomeno preoccupante della violenza di genere è da collocare in un quadro più ampio, che riguarda una debolezza e una crisi nell’opera educativa delle giovani generazioni, perché è nell’età dell’infanzia, della prima adolescenza e della giovinezza che si plasmano gli atteggiamenti, l’assetto emotivo e valutativo delle persone, i modi di sentire, di valutare e di stabilire relazioni, che daranno volto al soggetto e guideranno le sue scelte, le sue reazioni, la sua esistenza.

Sappiamo che vi sono segni di disagio tra i ragazzi e i giovani, che vanno emergendo e che giustamente destano preoccupazioni e interrogativi, ovviamente senza cadere in generalizzazioni indebite. Negli ultimi anni, anche nella nostra città, ci sono stati episodi di violenza che hanno visto protagonisti adolescenti, a volte in piccole bande, e non mancano fenomeni di bullismo diffuso.

Una ricerca realizzata nel 2022 in istituti scolastici di Pavia, il Progetto Selfie, Indagine sugli stili di vita dei giovani, promossa da differenti realtà, tra le quali la Casa del giovane, ha interessato 961 studenti della scuola secondaria di primo grado e 6000 studenti della secondaria di secondo grado, e ha riportato tratti interessanti, con luci e ombre: in particolare colpiscono i dati circa i ragazzi che affermano d’avere subito atti di bullismo o di cyber-bullismo (nelle scuole secondarie di primo grado: 49% vittime di bullismo, 22% di bullismo online; nelle scuole secondarie di secondo grado: 58% vittime di bullismo, 26% di bullismo online), il ricorso facile agli alcolici (tra gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado il 68% ha fatto uso di alcolici), e le pratiche di autolesionismo (nelle scuole secondarie di primo grado: 30%; nelle scuole secondarie di secondo grado: 31%); si aggiungono forme varie di disagio verso il proprio corpo che possono generare fenomeni di anoressia e di bulimia anche in ragazzi e ragazze alle soglie della pre-adolescenza. Né possiamo dimenticare l’uso di sostanze stupefacenti e di droghe da parte di adolescenti e pre-adolescenti, forme varie di dipendenza e stati di ansia e di panico che colpiscono soggetti giovanissimi.

Nel mondo degli universitari, si possono registrare disagi e fatiche nella relazione sociale, acuiti dopo il lungo e complesso periodo della pandemia, l’incapacità da parte di soggetti più deboli a sostenere certi ritmi di prestazione e di competizione, una fragilità nella tenuta dei legami affettivi. Anche in questo caso, evitiamo di generalizzare e non favoriamo un atteggiamento negativo di lamento e di sfiducia nei giovani, perché ci sono risorse di umanità, di sensibilità, di disponibilità a forme di servizio e di volontariato, e nel cuore di molti giovani che rendono più viva la nostra città, abitano il desiderio di dare il proprio contributo per la costruzione di un mondo più umano, la passione per la verità e la bellezza, l’apertura alla dimensione trascendente e spirituale della vita.

Carissimi fratelli e sorelle, a me come vescovo che oggi siede sulla cattedra di San Siro, è affidato innanzitutto il compito di annunciare e testimoniare il Vangelo di Cristo, come speranza e salvezza per ogni uomo, come luce che può offrire un apporto positivo alla città degli uomini, anche alla grande sfida dell’educazione e della formazione delle giovani generazioni. Questa dovrebbe essere la prima questione a cuore per chiunque ha responsabilità nella vita sociale, politica, economica e culturale, perché qui sono in gioco il presente e il futuro della nostra convivenza.

Riprendendo e sviluppando quello che ho scritto come editoriale nell’ultimo numero del settimanale diocesano Il Ticino, condivido con voi alcune riflessioni, partendo da una domanda: come Chiesa che cerca di condividere la vita della gente, anche nelle nostre città e paesi, come cristiani, abbiamo qualcosa di originale da dire e da proporre, entrando in un dialogo e in un confronto con chi ha a cuore il bene e il futuro dei nostri ragazzi e giovani? O dobbiamo limitarci a riecheggiare le opinioni comuni, ripetendo ovvietà o accogliendo in modo acritico giudizi e valutazioni, che, talvolta, sanno d’ideologia e di schema imposto sulla realtà?

La comunità cristiana ha una storia ricca di cammini educativi, nonostante ombre e limiti, da sempre si dedica alla crescita delle giovani generazioni e ha generato figure bellissime di educatori e educatrici, anche nella nostra Chiesa di Pavia: pensiamo a Santa Benedetta Cambiagio Frassinello alla metà dell’Ottocento e in tempi più vicini a noi al Servo di Dio Don Enzo Boschetti. Ma pensiamo anche ai tanti preti, religiose e laici che si spendono nelle nostre parrocchie, negli oratori, nei movimenti ed associazioni ecclesiali, nelle scuole, ai genitori che accompagnano i loro figli, cercando di trasmettere la fede cristiana, come orizzonte di vita e di significato.

Guardando al patrimonio vivo e all’esperienza educativa che nasce dalla fede e dalla vita della Chiesa, possiamo mettere in luce aspetti utili per leggere la complessità del presente e per vivere cammini fecondi nell’avventura educativa.

Si apre lo spazio a una buona “alleanza” che dovrebbe coinvolgere soggetti e realtà che in vario modo, ciascuno con la propria competenza e orientamento ideale, interagiscono nel cammino delle giovani generazioni: amministrazioni comunali con servizi sociali, famiglie, scuole, università con i suoi numerosi collegi in Pavia, società sportive, musicali e ricreative, comunità per minori o per giovani, il mondo del volontariato, parrocchie e oratori, movimenti e associazioni ecclesiali.

In questa opera condivisa, mantenendo ciascuno il proprio profilo e la proposta educativa che esprime, come comunità cristiana, possiamo contribuire al grande cantiere dell’educazione, mettendo in rilievo alcuni tratti che, in certo modo, possono essere valorizzati e vissuti da tutti, da chiunque tenta di vivere l’avventura affascinante e rischiosa dell’educare.

Un primo tratto dell’esperienza educativa in quanto tale e che ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella proposta cristiana è il fatto che l’educazione è innanzitutto comunicazione di sé: infatti l’adulto inesorabilmente educa per quello che è, per la testimonianza vissuta e per la comunicazione di ciò che ha scoperto come bene e come possibilità di vita. Educare è accompagnare il cammino di chi è più giovane, condividendo con lui tempo, essendo disponibili all’ascolto, guardando con passione e stima il cuore del ragazzo, e in tutto questo offrendo un’ipotesi di significato che permetta di affrontare con positività l’esistenza, con le sue domande, le sue esigenze e le sue sfide. I grandi educatori nella vita della Chiesa sono stati uomini e donne che hanno investito tempo e passione per stare con i ragazzi e i giovani, per ascoltarli, per guardarli – perché il loro primo bisogno è sentirsi guardati e persi sul serio – e per accoglierli.

Da questo punto di vista, non è un buon segno moltiplicare nella scuola o in altri luoghi di formazione “corsi” specifici per temi differenti (corsi contro il bullismo, contro le dipendenze, per l’ecologia, per l’affettività e la sessualità), come se bastasse l’informazione a formare, perché in realtà chi insegna, chi educa, dovrebbe comunicare nella normalità del suo lavoro e nella relazione con i ragazzi uno sguardo fiducioso verso la realtà, favorendo lo sviluppo di un’umanità aperta al buono, al bello e al vero, curiosa e intelligente nell’incontro con la vita e il mondo. Solo così il giovane che cresce impara un vero amore a sé e all’altro, capace di rispetto, di tenerezza, di sacrificio e di libertà interiore, e sa accettare anche l’esperienza della perdita, del fallimento, della delusione e della rinuncia, senza voler possedere e soffocare la persona che ama.

Investire nelle relazioni, aiutare i nostri adolescenti e giovani a scoprire il valore e la bellezza del loro essere uomini e donne, in cammino, favorire un’apertura positiva e intelligente alla realtà, nella conoscenza e nell’incontro, sono fattori che appartengono all’arte dell’educazione: qui la ricchezza di una storia, testimoniata fino ad oggi da varie forme ed esperienze educative nate nell’ambito ecclesiale, può dare un contributo e sviluppare una collaborazione con altri soggetti formativi.

Ora, chi vive il dono della fede come esperienza di Cristo vivo e presente, ha incontrato una presenza umana e divina che riempie di bellezza e di senso la vita e ha da offrire questa esperienza come ipotesi di un significato positivo: la scoperta di uno sguardo buono su di sé. Come comunità cristiana, dovremmo vivere di più la passione di comunicare alle giovani generazioni l’avvenimento di Cristo come testimonianza vissuta di un’umanità più vera, più intensa e più lieta, ritrovando il gusto di questa proposta, rivolta alla libertà e al cuore della persona, e che può essere trasmessa da chi educa – genitore, insegnante, catechista, educatore – attraverso il suo modo d’essere e di stare di fronte a tutto, nella misura in cui egli per primo vive con verità e pienezza la sua fede.

Un secondo tratto, anch’esso profondamente umano, dell’educazione nella vita cristiana è il giusto spazio che si dà all’accompagnamento dei più giovani in quell’aspetto così decisivo che è l’esperienza affettiva, intesa in senso ampio: come scoperta di sé, del dono del proprio essere sessuato, come educazione a maturare amicizie e affetti pieni di rispetto e di tremore per l’altro, senza cedere a forme riduttive e banalizzanti dell’espressività sessuale, o a modalità possessive di vivere i rapporti, dove domina la ricerca della soddisfazione, del piacere, o un sottile dominio sull’altra persona. C’è un lavoro grande da assumere, che come cristiani dovremmo sentire nostro e allo stesso tempo ci rende amici e compagni di tutti coloro che, a vario titolo, si spendono nell’opera educativa (genitori, insegnanti, docenti universitari, educatori professionali, operatori sportivi): lo sguardo che Gesù introduce nella vita dell’uomo e della donna comunica il senso della dignità e della bellezza del corpo, degli affetti, dei gesti sessuali, vissuti nella verità di una relazione definitiva e totale, aperta al dono della vita. Occorre parlare di questi temi delicati e profondi, intercettando le domande che hanno i nostri ragazzi, ma che talvolta nascondono, magari per vergogna, per adeguarsi al “gruppo”, per non sembrare strani: siamo chiamati a entrare in ascolto e in dialogo con le giovani generazioni, e nei percorsi formativi che cerchiamo di realizzare nei nostri ambienti, non abbiamo timore di riscoprire il significato vero e umanizzante della castità, che non è rinuncia e privazione, ma è strada per imparare un amore bello e liberante, pieno di tenerezza, di attesa, di rispetto.

È un’opera immensa che dovrebbe coinvolgere coloro che hanno a cuore la crescita autentica dei nostri ragazzi: la violenza verso le donne che ci fa reagire, presente anche negli episodi nei mesi scorsi in Italia di adolescenti che hanno abusato di ragazzine e di bambine, inizia prima, nell’analfabetismo degli affetti che segna il vissuto di tanti giovanissimi e li porta a vivere forme precoci e vuote di una sessualità ridotta al suo aspetto immediato e istintivo. Apriamo gli occhi: c’è un accesso alla pornografia senza limiti, che purtroppo inquina la mente e il cuore di ragazzi poco più che bambini e che comunica un modo squallido e violento di vivere la sessualità, ci sono preadolescenti e adolescenti che si scambiano immagini sessualmente esplicite, o addirittura si vendono su chat e social, nell’assenza di ogni giudizio morale, magari per riempire il vuoto e la solitudine di una vita dove nessuno li sa guardare per la grandezza del loro cuore.

Ciò che può far maturare nel loro vissuto una vera educazione alla bellezza e alla verità dell’amare, non è la proposta astratta di valori e di comportamenti corretti, ma è una compagnia alla loro vita, attraverso l’incontro con giovani e adulti che stanno con loro, che condividono tempi ed esperienze belle di servizio, di fraternità, di preghiera e che diventano amici grandi ai quali i ragazzi guardano, con cui si confidano: un punto di chiarezza e di certezza per i nostri amici più piccoli, in cui confusa e impetuosa vibra la voglia di vivere!

Infine, nella concezione cristiana della vita, non si ha paura di riconoscere che esiste nell’uomo il mistero del male, la possibilità e la facilità a cedere al male, per fragilità o per connivenza con la menzogna. Anche le cose più belle, anche le esperienze più grandi possono essere sciupate, vissute in modo disordinato e riduttivo, e questa è la radice del peccato: un modo meschino e alla fine triste di vivere il rapporto con le persone, con se stessi, con la realtà. Stranamente, pur essendo fatti per il bene, pur desiderando il bene, c’è in noi una debolezza mortale che porta a decadere, a scegliere il di meno, a seguire ciò che sembra più facile e immediato.

Nell’orizzonte della fede cristiana, la sorgente di questa contraddizione che avvelena la vita è il mistero del peccato originale: un’originaria ribellione a Dio, che ha come indebolito e ferito la nostra natura di essere umani. Come cristiani, possiamo guardare in faccia la realtà oscura del male e del peccato, che si manifesta nelle azioni e nelle scelte negative e distruttive dell’uomo, anche giovane, perché sappiamo che c’è un amore più grande di ogni peccato, c’è una possibilità di ripresa e di perdono, che Cristo rende presente nell’esistenza e nella storia.

Oggi c’è la tendenza a non parlare più di peccato, a ridurre tutto a fragilità o condizionamento ambientale, psicologico, familiare, a ricondurre comportamenti oscuri e violenti a cause sociali, culturali o ad antecedenti biografici, a esperienze negative del passato. Sono tutti fattori che possono entrare in gioco, tuttavia c’è anche il mistero del male che può farsi strada nel cuore di una persona, c’è una libertà che, più o meno lucidamente, può scegliere di fare il male.

In un cammino educativo generato dall’esperienza della fede e dalla scoperta della misericordia come volto buono del mistero, possiamo chiamare le cose con il loro nome, possiamo ridestare il senso della coscienza morale e l’appello radicale al bene, possiamo anche riconoscere e aiutare a riconoscere i passi sbagliati, i peccati compiuti, le illusioni del bene apparente, ma tutto avviene nella certezza di uno sguardo buono sulla vita e di un abbraccio che rigenera, rialza e rende sempre possibile un nuovo inizio. In realtà, in ogni cammino educativo all’altezza dell’umano, ci deve essere insieme al riconoscimento del male e della drammatica possibilità del male, uno sguardo che non riduce mai il soggetto al male che ha compiuto, che sa vedere sempre una possibilità di ripresa, che sa offrire un amore che accoglie, corregge e perdona, un amore che riapre un cammino.

Quanto è decisivo incontrare presenze adulte così, capaci di verità e di misericordia, che aiutano il ragazzo o il giovane che ha gravemente sbagliato, che ha fatto violenza, in vari modi, all’altro, a chiamare per nome il male, a non rifugiarsi in alibi e facili giustificazioni e nello stesso tempo a non restare schiacciato dal male compiuto, a scoprire che c’è in lui un di più da cui ripartire!

Ecco, carissimi fratelli e sorelle, San Siro, che come padre nella fede e pastore della nostra Chiesa di Pavia, ha certamente formato i fedeli posti sotto la sua guida di padre e di testimone, ci spinga tutti ad avere a cuore il cammino delle giovani generazioni, a creare sempre di più buone e feconde alleanze. La comunità ecclesiale, nelle sue multiformi espressioni, viva e senta il gusto e la passione di educare, offrendo l’originalità della proposta cristiana e sapendo entrare in dialogo con chiunque si spende in questo campo così prezioso.

I volti dei nostri bambini, ragazzi e giovani possano rispecchiare una vita che cresce e che scopre sempre di più la verità e la bellezza di essere uomini e donne. Amen!

Tag: , , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  Scrivimi su WhatsApp!