Scintille di bellezza. Se un giovane Innominato spiega l’amore gratuito
13 Ott 2023 - 18enni, Adolescenti, Giovani, Scuole
Storie di scuola: quando una bocciatura può trasformarsi in una rinascita.
A CURA DI MARCO ERBA PER AVVENIRE | Una volta, tra i banchi di scuola, incontrai un giovane Innominato. L’Innominato è una delle figure più affascinanti dei “Promessi sposi”: suscita inquietudine, ma allo stesso tempo attrae il lettore irresistibilmente, lo fa incollare alle pagine. L’Innominato è un uomo dal potere assoluto: vive nel suo castellaccio sulla cima di una montagna, non vede nessuno al di sopra di sé, può controllare chiunque salga alla sua dimora, è così potente che non si osa neppure pronunciare il suo nome. Nessuno gli può sfuggire, ma lui sfugge sempre alla legge. Eppure, per quanto potente, non può sfuggire a sé stesso. Così, dopo l’incontro con Lucia, fatta rapire proprio da lui, l’Innominato sprofonda in una crisi esistenziale già da molto tempo latente. Manzoni descrive mirabilmente il flusso dei suoi pensieri in quella notte, un delle più celebri della letteratura italiana, che culmina col proposito di togliersi la vita. L’Innominato però alla fine si trattiene, chiedendosi cosa possa esserci dopo la morte.
L’alba lo sorprende profondamente cambiato. Nell’angoscia irrompe un suono di campane, che attirano la gente per una festa. L’Innominato non capisce; presto gli viene riferito che la festa è dovuta alla presenza, in un paese vicino, di Federigo Borromeo, cardinale di Milano in odore di santità. L’Innominato segue la folla, si presenta al cardinale, viene ricevuto. Ed ecco la scena più importante: l’incontro tra il santo e il bandito. La tensione narrativa è al massimo. L’Innominato non sa bene cosa dire. Resta fermo, indeciso. Il cardinale allora gli si fa incontro, fa il primo passo verso di lui. Federigo Borromeo lo accoglie, gli dice che quella visita gli è gradita; anzi, addirittura si scusa per non essere andato prima lui dall’Innominato.
Quando leggiamo questo brano in classe, ragazze e ragazzi reagiscono indignati: ma come? Il cardinale va incontro a un delinquente? A un assassino? A uno che ne ha combinate di cotte e di crude? Il cardinale si mostra amico di uno così? E lo fa pure passare davanti agli altri, a tutto quel popolo umile accorso solo per vederlo! Dov’è la giustizia? Come possono tornare i conti? Come possono essere rimessi in equilibrio i piatti della bilancia? Qui iniziano discussioni infinite, complicatissime: come stanno insieme giustizia e perdono? La giustizia è una bilancia con i piatti in pari o un abbraccio? Si può perdonare sempre? In quale rapporto stanno perdono, giustizia e riparazione del male commesso?
In fondo, tutte queste domande si possono riassumere in una sola: cos’è l’amore gratuito? Si può davvero amare gratuitamente? E se sì, è giusto farlo? Una delle più belle risposte a queste domande me la diede uno studente: Stefano, di prima liceo: il giovane Innominato, appunto. Stefano era uno degli studenti più elogiati dai prof del consiglio di classe: impegnato, gentile, partecipe, realmente interessato a tutto ciò che veniva proposto, sempre disponibile a dare una mano se vedeva un compagno in difficoltà, dato che il suo rendimento era ottimo.
Dopo che avevamo letto i brani dell’Innominato nel capolavoro di Manzoni, Stefano scrisse un tema memorabile. Iniziava così: «Il comportamento del cardinale nei confronti dell’Innominato, quel suo benevolo andargli incontro, è assolutamente incomprensibile, se giudicato con la logica della giustizia umana, che si basa sul principio della sanzione conseguente all’errore. Nella nostra logica, a una determinata azione corrisponde una reazione, una conseguenza. Ma anche un’altra logica è possibile: quella dell’amore gratuito. Io ho capito quella logica l’anno scorso, perché l’ho sperimentata sulla mia pelle quando mi hanno bocciato».
Sobbalzai. Tornai a guardare il nome e il cognome nell’intestazione del tema. Era proprio lui, proprio Stefano: non avrei mai immaginato che potesse essere stato bocciato. Eppure aveva scritto proprio così. «La scuola per me è cominciata subito male» continuava, «non studiavo niente, non ero motivato. Mi mentivo: dicevo che avrei iniziato a studiare dopo il primo mese, poi dopo Natale, poi dopo la pagella, poi dopo Pasqua. Ma l’anno è finito, e a studiare non avevo mai iniziato». Tipico. Come tipici erano stati i rimproveri dei genitori: «Mio padre e mia madre si arrabbiavano spesso, facevano sfuriate di fronte a ogni voto negativo, mi mettevano in guardia, mi minacciavano, ma io non li ho mai ascoltati. Ed è arrivato il giorno della bocciatura. Ero in gita con l’oratorio feriale, il mio telefono è squillato. Era mia madre. Ho risposto, non mi ha nemmeno salutato. Ha solo detto: “Hanno chiamato dalla segreteria della scuola”, poi ha riattaccato. Non dimenticherò mai la delusione nella sua voce».