CONVERSAZIONE CON I GENITORI
17 Feb 2024 - 18enni, Adolescenti, Adulti, Oratori
Oratorio di San Pietro in Verzolo – Pavia – domenica 4 febbraio 2024
“Educare alla fede oggi: la presenza dei genitori e delle famiglie nella vita dell’oratorio”
Il mio intervento di oggi non vuole essere una lezione, ma una conversazione con voi, carissimi genitori, che siete chiamati a una presenza importante e decisiva nella vita dell’oratorio, soprattutto nell’accompagnare l’opera di educazione alla fede per i vostri figli, i vostri ragazzi, insieme ai sacerdoti, ai catechisti, agli animatori, coinvolgendovi anche attivamente nella vita di questa comunità, nelle attività e proposte dell’oratorio.
L’orizzonte di questa mia riflessione è la scelta avviata di un cammino che coinvolga le vostre comunità di San Carlo, San Pietro in Verzolo e S. Maria delle Grazie, per maturare un lavoro pastorale di zona, che veda le vostre parrocchie, ciascuna con la propria identità e storia, camminare insieme, fino a costituire nei prossimi mesi un’Unità Pastorale nell’ambito della zona est di Pavia.
In questa prospettiva l’oratorio di San Pietro in Verzolo, oggetto di un ampio e articolato intervento dio ristrutturazione, diventa l’oratorio di riferimento per le vostre comunità, come spazio privilegiato di cammini formativi, di esperienze e incontri che coinvolgano bambini, ragazzi, adolescenti e giovani, famiglie e anziani.
Per questo motivo, è stata da poco costituita, su mia indicazione un’équipe formata da alcuni adulti e giovani delle tre comunità, con il parroco di San Pietro e di San Carlo, Don Rosario e l’amministratore parrocchiale di S. Maria delle Grazie, Don Gabriele Pelosi, équipe guidata da Stefania Capoferri, educatrice professionale da anni attiva nelle comunità di San Pietro e di San Carlo. Compito dell’équipe, in ascolto delle comunità, è delineare un progetto educativo dell’oratorio, partendo da quello che già c’è e dalle esperienze positive avviate in questi anni, cercando di far interagire l’oratorio con altre realtà educative della zona (es. le scuole).
Il lavoro dell’équipe, che dovrà coinvolgere persone e famiglie disponibili, mettendosi in ascolto di esigenze e proposte e raccogliendo disponibilità da parte di giovani e adulti, si colloca come esperienza-pilota, nella nostra diocesi, in un momento in cui è in atto una riflessione sull’immagine e il ruolo degli oratori oggi, che avrà un punto d’arrivo in un’assemblea diocesana degli oratori.
Per quanto riguarda il tema della nostra conversazione, mi limito solo a offrire alcuni spunti di riflessione, alcune provocazioni che possano aprire e suscitare un dialogo tra noi: l’avventura dell’educare è ciò che caratterizza l’esperienza adulta di un uomo e di una donna, uniti nel matrimonio per formare una famiglia, comunità stabile d’amore e di vita, ed è un’esperienza che non viene meno, anche in situazioni di famiglie ferite o separate, perché comunque i figli restano per sempre figli di un padre e di una madre, con il loro volto e la loro storia irripetibile. Se abbiamo poi la grazia di essere cristiani, di essere cresciuti in una tradizione e in un’esperienza di vita cristiana, educare i figli significa educarli nella fede, offrire loro l’avvenimento della fede in Cristo come supremo bene per la vita, aiutarli a scoprire il volto del Signore Gesù, come la Presenza che riconosciamo determinante per la nostra e per la loro esistenza.
Ora, tutti sappiamo che non è mai stato facile educare, e che oggi sono tantissime le sfide che il nostro tempo offre a noi adulti, chiamati ad accompagnare i nostri bambini e i nostri ragazzi nel loro cammino di crescita umana e cristiana: non ci sono soluzioni magiche, né, tanto meno, pretendo di potervi offrire una sorta di “ricetta” o di “istruzioni” per essere buoni educatori. In realtà tutti noi impariamo a educare educando, anche attraverso errori e mancanze, e tutti noi, genitori e figli, abbiamo una risorsa fondamentale che è la nostra umanità, il nostro cuore, inteso come una trama di esigenze e di evidenze che ci sono date e che appartengono alla nostra natura: c’è in noi un’esperienza elementare che ci permette di giudicare della verità e del bene di certe proposte e di certi percorsi di vita.
Educazione come comunicazione di sé: ci sono vari modi di definire l’opera dell’educazione, io sento sempre vera la definizione più volte proposta da don Luigi Giussani, un grande educatore dei nostri tempi, e ripresa anche dal nostro Papa Francesco, secondo cui educare significa introdurre nella realtà totale, la realtà totale della vita e del suo significato. Ma come un bambino e un ragazzo vengono introdotti alla realtà piena della vita, e vengono aiutati a scoprirne il significato? Attraverso una presenza umana che viva e che sia cosciente del senso della vita: la fede cristiana nasce esattamente dall’incontro con la persona e la proposta di Gesù Cristo, e dal riconoscimento che è lui «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), che solo in lui e nella rivelazione del Padre che Gesù ci manifesta con tutto il suo essere, noi finalmente scopriamo il senso profondo e totale, definitivo del nostro cammino umano, scopriamo il volto buono, bello e vero del nostro destino.
Allora, carissimi amici, educare alla fede è possibile, innanzitutto, se noi adulti viviamo la fede nella sua interezza, se noi, per primi, ci accorgiamo, sempre più, che davvero Cristo è la verità del nostro umano, che davvero Cristo prende sul serio tutta la nostra umanità, con le sue esigenze inestirpabili e immense di felicità, di significato, di positività di vita!
Sembra un’ovvietà, ma è un’ovvietà che spesso si dimentica: noi siamo cristiani perché abbiamo avuto e abbiamo ora la grazia di incontrare amici, maestri, testimoni nei quali percepiamo la profonda umanità della fede, la corrispondenza, altrimenti impensata e ignota, tra i desideri più grandi e più semplici del cuore e la presenza di Cristo, che si fa trasparente in persone così cambiate dalla fede, persone per cui Cristo è tutto, è l’ipotesi positiva su tutto il dramma del vivere!
L’educazione, volenti o nolenti, è comunicazione di sé, perché, educando, prima con i gesti che con la parola, noi inevitabilmente comunichiamo noi stessi o meglio comunichiamo ciò che noi stimiamo, ciò che noi guardiamo, ciò a cui diamo peso nella vita. E i nostri bambini e i nostri ragazzi hanno bisogno, prima di tutto, di potere incontrare presenze umane plasmate dalla fede, di potere vedere che cosa veramente ci sta a cuore, per noi e quindi per loro: questo innanzitutto nella famiglia, e poi nella comunità, in parrocchia, nello spazio e nella vita dell’oratorio.
Ora la testimonianza della fede, la possibilità di educare nell’orizzonte della fede si gioca sulla nostra “coerenza”, intesa però non in senso morale, come perfezione e assenza di errori, di limiti e di peccato, ma in senso ideale: cioè che realmente ci sia in noi una tensione a vivere la fede, a vivere quindi la vita come rapporto con Dio, a nutrire la fede attraverso gesti (come la Messa, la preghiera), attraverso un legame con la comunità cristiana, con amici con cui condividere un cammino di fede. Qui emerge il valore di coinvolgervi, come genitori, nella vita dell’oratorio, di crescere dentro una familiarità con altre famiglie e di aiutarvi a vivere la fede nelle circostanze quotidiane della vita. Perché, vedete, se quando affrontiamo i problemi, le domande che i figli ci fanno, le preoccupazioni che possiamo incontrare, le esperienze e le proposte che siamo chiamati a giudicare, con i nostri figli, la fede in Cristo non c’entra nulla, i criteri che seguiamo sono esattamente quelli del “mondo”, come fanno i figli a stimare importante ciò che appare loro totalmente estraneo e irrilevante (al massimo come vago richiamo morale) nella nostra vita, nel nostro modo di sentire, di pensare, di agire, di giudicare?
Educazione come avvenimento di un popolo: c’è una seconda nota che vi offro come elemento di riflessione e di dialogo tra noi. Chi è il soggetto che educa? Tante volte si sottolinea il ruolo centrale della famiglia – il che è vero -, ma una famiglia spesso pensata in termini molto astratti e ideali, e soprattutto come se fosse un soggetto sufficiente e autonomo. Così poi ci si ritrova come genitori e come educatori, a sentire il peso di un’opera sproporzionata alle nostre forze, perché ci accorgiamo tutti che le nostre famiglie, nella concretezza del loro ritmo di vita, arrancano a stare dietro ai figli, soprattutto quando entrano nell’adolescenza, e sappiamo benissimo che, oltre l’ambiente familiare, ci sono altri “ambienti” che segnano la vita dei ragazzi e che influiscono molto su di loro: ambienti reali e “digitali” (che sono anch’essi reali e non puramente virtuali), relazioni, incontri, amicizie, sollecitazioni. E se è vero che voi genitori siete chiamati a stare accanto ai vostri figli, a entrare nel loro mondo (non lasciateli soli nell’uso di internet e dei network sociali), a esercitare una giusta vigilanza, ovviamente non potete metterli sotto una campana di vetro e non potete sostituirvi alla loro libertà e al loro cuore.
Allora, oggi più che mai, appare chiaro che il soggetto che educa, anche nel cammino di fede, non è un soggetto singolo, non è e non può essere la famiglia come “isola felice”, ma è l’esperienza di un popolo e di una storia, di cui la famiglia è parte viva e decisiva, un popolo a cui noi adulti, per primi, sentiamo di appartenere: è il popolo cristiano, è la comunità cristiana nell’interezza della sua vita e della sua storia, che può essere un soggetto che educa alla fede, che introduce il ragazzo nell’esperienza cristiana, come esperienza che esalta e fa vivere l’umano, come luogo di una commozione vissuta, generatrice di bene, di opere, di carità, di cultura (intesa in senso non intellettuale, ma come mentalità unitaria con cui si affronta la vita: pensiamo a certi nostri “vecchi” che saggezza, che compostezza, che dignità dava loro la fede per vivere i drammi dell’esistenza!).
Tutto ciò che cosa chiede a noi educatori? Chiede di essere noi parte viva di questo popolo, attraverso una reale appartenenza alla Chiesa, con il volto prossimo di una comunità, fatta di gesti, di parole, di tradizioni, di rapporti, e chiede d’imparare a riconoscere le presenze e le testimonianze che oggi ci sono, che il Signore continua a suscitare, e che attestano la fecondità della fede proprio nella sua capacità di condividere e di affrontare i bisogni.
Quanto è importante, carissimi genitori, che viviate una compagnia cristiana tra voi, con i vostri preti, nelle vostre comunità e che sappiate condividere le domande e le urgenze che incontrate nell’educazione dei vostri figli, sostenendovi, sapendo contrastare anche certe derive ideologiche che, magari di nascosto nelle scuole, si tenta di far passare come normali (Papa Francesco, anche i Messico, alle famiglie ha parlato del rischio delle colonizzazioni ideologiche, sull’identità, sulla verità della famiglia, sulla differenza uomo e donna, sui fondamentali dell’umano!).
Quanto è decisivo che siate tesi a favorire, nei vostri figli, un loro coinvolgimento con la vita della comunità cristiana, con le sue proposte e appuntamenti, valorizzando la realtà dell’oratorio e le esperienze di servizio e di vita, perché sempre più sentano la Chiesa come una casa, come il dilatarsi dell’abbraccio e del bene che sperimentano con voi.
Educazione come luogo di libertà: sappiamo amici che educare è un’arte difficile, San Giovanni Bosco diceva che è cosa del cuore, dove sempre entra in gioco la libertà dell’educatore e del ragazzo. Proprio perché solo nella libertà si possono assumere i valori essenziali del vivere, solo nella libertà si può conoscere il vero e si può aderire, non formalmente, alla proposta della fede.
In questo senso, c’è un “rischio educativo”, per riprendere l’espressione cara a don Giussani, che tutti noi rischiamo, con ciascuno e ciascuna dei nostri figli, e non c’è nulla di meccanico e di preordinato nel cammino di una persona che cresce e si va formando. Gesù stesso, con i suoi discepoli, ha accettato la nobile fatica della libertà e ha conosciuto l’esperienza della delusione e dell’insuccesso educativo (pensiamo a Giuda!): eppure non ha mai trattenuto nessuno, è sempre stato chiaro nella proposta, duttile nelle relazioni, capace di attendere il tempo del cuore di coloro che incontrava, con una compagnia discreta e paziente.
Abbiamo molto da imparare dalla pedagogia di Cristo, che sempre fa appello all’esperienza dei suoi interlocutori, e chiede a loro di prendere posizione e di giudicare ciò che ascoltano. Così educare è davvero vivere un cammino di libertà, nel quale essere disponibili a lasciarci sorprendere, a volte anche ferire dalle mosse e dalle scelte che i ragazzi, crescendo, sono giustamente chiamati a fare. Questo non vuole dire non proporre nulla e lasciare semplicemente che i figli decidano da sé di sé: occorre proporre, a partire dalla nostra vita e da ciò che traspare nella nostra esperienza, ciò in cui crediamo, ciò che abbiamo scoperto come vero e adeguato al nostro cuore, occorre favorire e assecondare la partecipazione dei nostri bambini e ragazzi alla vita reale della comunità cristiana, che trova un luogo e una risorsa importante nell’oratorio, in qualche modo orientando le loro scelte nel tempo dell’infanzia. Ma nello stesso tempo occorre accettare che i ragazzi, crescendo, possano conoscere tempi di fatica o di confusione, stando loro accanto, cercando di valorizzare la grande risorsa del cuore: perché in ogni nostro figlio c’è un cuore, fatto da Dio, che è esigenza di felicità, di giustizia, di bellezza, di verità, di significato, e ogni ragazzo può essere aiutato e provocato a paragonare qualsiasi proposta di vita – anche la proposta di Cristo e della fede – con questo cuore. Sarà lui, man mano che cresce, che potrà giudicare della verità di ogni proposta, sarà lui, magari anche attraverso sbagli ed errori, a sorprendere come e quanto l’avvenimento di Cristo, vissuto nella comunità cristiana, testimoniato in certe presenze umane, risponda davvero alle domande e alle urgenze della propria umanità.
Quindi, amici, fidiamoci di Dio, di come ha fatto il nostro cuore, il cuore dei nostri figli: non cadiamo nell’errore d’essere eccessivamente protettivi o preoccupati che facciano degli sbagli, perché a volte la libertà deve toccare con mano che cosa sta perdendo, allontanandosi da ciò che aveva ricevuto. Pensiamo alla parabola del padre misericordioso con i due figli (cfr. Lc 15,11-32): il padre era così certo del cuore del suo figlio, che non lo ha trattenuto, lo ha lasciato andare, e nella sua misericordia lo ha riaccolto, ridonandogli la gioia e la dignità, irrimediabilmente perdute agli occhi di entrambi i figli, il prodigo e quello tutto obbediente, la gioia e la dignità di essere sempre figlio, agli occhi del Padre.
Il Vostro Vescovo Corrado